Ogni giorno l’acqua del lago di Pievefavera lambisce la riva, scava, corrode gli strati di enorme interesse archeologico delle spiaggette naturali, dove tra ciottoli, i pescatori sostano sopra frammenti fittili: embrici, vasellame vario, pezzi di patene a vernice nera o rossa, frammenti di vasi falischi e ossa umane carbonizzate. Su tutto e tutti è passata la storia. Una storia che oggi è visibile all’interno del torrione esagonale adiacente alla chiesa di Pievefavera. Da ricordare due capitelli: uno barbarico, protoromanico, sfaccetato in rigida geometria; ha gli spigoli smussati con decorazioni a lancia. L’altro, di pietra chiara a tronco di piramide, ha le quattro facce scolpite a bassorilievo. Possiamo catalogarlo come pulvino o capitello a staffadi chiara impostazione bizantina.
Una storia che oggi è visibile all’interno del torrione esagonale adiacente alla chiesa di Pievefavera. Da ricordare due capitelli: uno barbarico, protoromanico, sfaccetato in rigida geometria; ha gli spigoli smussati con decorazioni a lancia. L’altro, di pietra chiara a tronco di piramide, ha le quattro facce scolpite a bassorilievo. Possiamo catalogarlo come pulvino o capitello a staffadi chiara impostazione bizantina. Da menzionare anche una tomba romana chiusa a capanna da embrici, copertura composta da sei a otto grandi terrecotte, secondo la lunghezza della salma, comunemente chiamate tombe a cassa.